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“Impressioni di settembre”: quando l’arte ispira il viaggio
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“Impressioni di settembre”: Esplorando le radici degli impressionisti: Il potere dell’arte visiva nella comunicazione contemporanea
La comunicazione per immagini è oggi, di sicuro, la forma di trasmissione di messaggi più utilizzata: essa consente di far arrivare un’informazione, da chi la invia a chi la riceve, assicurandosi comprensione immediata nel minor tempo possibile e un impatto prolungato sulla memoria.
Video e, soprattutto, foto sono alla base del successo di tanti social network, che rappresentano oggi le forme di comunicazione preferite, spesso più del linguaggio. Parola d’ordine: impressionare.
Coinvolgere dal punto di vista emotivo; colpire, come un fascio di luce, sulla sensibilità. Proprio come accadeva un tempo, alla pellicola fotografica e, prima ancora, grazie alla capacità dei pittori di catturare la realtà ed “fermarla” (più o meno fedelmente) sulle loro tele.
I dipinti più famosi sono ormai vere e proprie icone sacre, immagini evocative che travalicano lo spazio e il tempo, regalando a chiunque un’emozione che si ripete ogni volta. Il richiamo della natura genera la voglia di abbandonare studio e bozzetti. Catturare l’essenza della natura, circondati da essa, attraverso il proprio sguardo istintivo, fermando il momento: questo è l’approccio innovativo che gli impressionisti hanno dato all’arte, grazie al quale, davanti ai loro capolavori, la meraviglia si rinnova ogni volta.
Da qui la spinta a intraprendere un viaggio che, partendo dai luoghi dove i grandi maestri hanno vissuto, ideato, realizzato le loro opere, ha come destinazione finale, la (ri)scoperta dei capolavori dal vivo, nei musei che li conservano.
In Normandia, nel villaggio di Giverny, la “Fondation Claude Monet” custodisce la casa-atelier del pittore impressionista. Più di cinquecentomila visitatori, ogni anno, fanno lunghissime file per varcare la casa dalle finestre verde smeraldo, entrano nelle stanze in cui il pittore viveva con la famiglia (e ospitava amici celebri, tra gli altri, Mallarmè, Valery, Renoir) ma, soprattutto, affollano (letteralmente) i suoi giardini.
Il “Clos Normand”, posizionato di fronte alla residenza, è il primo giardino: l’artista, ispirato anche dai suoi viaggi in Inghilterra e in Italia, crea, insieme alla sua famiglia e qualche aiutante, un ambiente “apparentemente” spontaneo tra rose, iris, crisantemi, le cui eccezioni esotiche sono rappresentate dalle orchidee e dalle splendide dalie.
Avanzando oltre il sottopassaggio, si estende “Le Jardin d’Eau”: nel susseguirsi degli stagni, sulle cui sponde si affacciano salici piangenti e colonnati di bambù, lo sguardo si posa sulle “isole” di ninfee, fino ad arrivare al ponte giapponese.
Questi giardini, a dir poco, meravigliosi rappresentano il vero atelier dell’artista e le ninfee il suo simbolo indiscusso.
Le dipingerà in tutte le stagioni, in tutte le condizioni di luce, di clima e soprattutto di temperamento. L’esposizione delle sue ninfee donate al Museo dell’Orangerie di Parigi, (realizzata assecondando sue specifiche indicazioni) è una vera e propria immersione “liquida” tra i riflessi dell’acqua che, come diceva egli stesso, appare “senza rive e senza orizzonte”.
Altro soggetto prediletto da Monet è la cattedrale di Rouen. Quasi ossessionato dall’insoddisfazione dei risultati, Monet lavora ad una serie di dipinti, in cui la cattedrale gotica, con due campanili diversi, appare in differenti versioni: allora come oggi, l’utilizzo dei filtri di luce e colore, aiuta ad imprimere lo stesso soggetto in molteplici condizioni.
















Attraversata dalla Senna, Rouen è la città delle case a graticcio, del “Gros Orloge”, di Gustave Flaubert; la città normanna si conferma essere una realtà piacevole, oggi come al tempo degli impressionisti. Oltre Monet, anche il pittore Camille Pisarro dipinse Rouen. Egli amava dipingerla senza folla, con la bruma dell’alba e le ombre del tramonto e, osservando, le “sue” versioni della piazza del mercato e del porto sulla Senna, sembra davvero di “respirare” le stesse emozioni.
Pisarro è stato amico e “padre artistico” di Paul Cezanne, che visse nel sud della Francia, nella città di Aix En Provence. La piazza del municipio con la facciata romanica della cattedrale di Saint Saveur, i musei, i giardini, la bellezza delle oltre cento fontane, il viale alberato di Cour Mirabeu con i suoi hôtel particulier (tra tutti il Morel de Ponteves, con i due atlanti che reggono il balcone barocco) sono spunti di scoperta dell’elegante Aix.
La città provenzale ospita l’atelier di Cezanne, in cui tutto è lasciato come se l’artista fosse uscito da poco, rapito da un’improvvisa ispirazione.
E poi, eccolo lì: dalla prospettiva di uno dei rinomati caffè bistrot, all’angolo della grande fontana de la Rotonde, si scorge proprio la sagoma (della statua) di Cezanne, con cavalletto e pennelli in spalla e il suo inconfondibile cappello, che sta facendo ritorno in atelier, dopo aver trascorso ore a trasferire su tela la sua personale visione della amata montagna Sainte Victoire.
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