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Sulle note dell’inconscio: in scena l’astrazione del sentimento di Jackson Pollock
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4 anni fail


Il giovane regista Filippo Stasi scrive e dirige uno spettacolo dal carattere fortemente introspettivo in cui è possibile (o doveroso) immergersi
Entri in teatro. Le maschere fanno sala. Tu, da solo o in compagnia, cerchi il posto migliore per goderti lo spettacolo. Le luci sono ancora, naturalmente, tutte accese. Il sipario è aperto e la scena è pronta. L’occhio cade. Si perde, non solo per smarrimento ma anche per curiosità. Tre cornici vuote e distorte di colore bianco la fanno da padrone. Poi una piccola radiolina e una birra mezza aperta. E il chiacchiericcio della sala che ti riporta per un attimo alla realtà.
Tutto questo accade prima che Sulle note dell’inconscio abbia inizio: ti cattura l’occhio e la mente già soltanto per la scenografia essenziale ma accattivante curata da Mario Ferrillo e anticipa quello che sarà il leitmotiv dell’opera, ovvero un’oscillazione tra reale ed astratto.Sarà una casa, uno studio o una palestra? Ti chiedi stoicamente. Basteranno i primi minuti di spettacolo a chiarire ogni dubbio: la scena è sì talvolta una casa talvolta uno studio in cui si dipinge, ma rappresenta soprattutto l’interiorità (l’inconscio, appunto) del protagonista Jackson Pollock, pittore statunitense attivo tra gli anni ’30 e ’50 del Novecento e considerato uno dei massimi esponenti dell’espressionismo astratto.
Interpretato da Adriano Paschitto l’inquieto Jackson, per gli amici “Jack”, quasi si impone di ripercorrere tutti i dolori più profondi della sua esistenza affinché possa trovare l’ispirazione per la sua aspirazione più grande, vale a dire diventare un pittore affermato e riconosciuto da tutti. Inizia così, tra voci che prima tormentano e poi incitano il protagonista, questo viaggio dell’inconscio.


La vita di Pollock fu veramente segnata da grandi disagi legati principalmente a un forte bisogno d’amore e a un complesso di inferiorità nei confronti di tutti quei pittori “conformisti” che godevano di fama oggettiva. Sgabelli, sedie e barattoli di vernice sono sparsi disordinatamente nel suo laboratorio alla stregua dei pensieri che lo tormentano incessantemente. C’è un disordine che ordina la scena e che si giustifica da solo, almeno fino a quando non entra in azione Lee Krasner, musa ispiratrice e poi moglie di Pollock interpretata da una bravissima e soprattutto poliedrica (tra poco vedremo perché) Anna Bocchino. Lee probabilmente rappresenta quegli “sparuti incostanti sprazzi di bellezza” – per dirla alla Jep Gambardella – della vita dissoluta di Jack, una sorta di melodia evanescente che però riporta alla realtà, quella vera, fatta di caffè, discorsi pragmatici e nozze programmate. Come anticipato, Anna Bocchino si dimostra poliedrica perché interpreta da sola le altre due donne dello spettacolo: l’Arte pittorica e Peggy Guggenheim, rispettivamente una personificazione dell’arte riconosciuta oggettivamente e una collezionista d’arte statunitense venuta a contatto con Pollock.


In particolare il personaggio dell’Arte pittorica sembra avere una psicologia molto interessante, soprattutto per la sua parlata italo-spagnola che ricorda uno dei maggiori artisti del Novecento quale Pablo Picasso. A tal proposito il regista e autore Filippo Stasi è sibillino: “Potrebbe essere oppure no – racconta – ma di sicuro rappresenta quei canoni artistici riconosciuti oggettivamente e a causa dei quali Pollock arriva quasi ad impazzire.”
Già, Pollock in scena impazzisce spesso: urla, si dispera, si assenta. La sua coscienza, il suo inconscio prende vita materialmente attraverso due personaggi anteposti come la loro essenza: il bene e il male, la riflessione pacata e l’istinto animalesco. Da quelle cornici bianche e distorte che catturano immediatamente l’occhio fuoriescono infatti le due parti dell’inconscio di Jack: dapprima Ruben, quella buona e pacata interpretata da Nicola Tartarone e poi Clem, quella focosa e spericolata e che ha ogni tanto anche dei risvolti comici e interpretata da Emanuele I. Il protagonista subisce quindi se stesso, le sue riflessioni, i suoi pensieri col fine di giungere alla meta tanto desiderata.


Sulle note dell’Inconscio è una produzione di Giovani Teatri, una piccola ma ambiziosa associazione teatrale napoletana composta dai già citati Filippo Stasi e Mario Ferrillo e da Angelo Navarro e Francesco Bellella; i costumi sono di Francesca Liguori e le musiche di Mario Autore. Lo spettacolo ha debuttato lo scorso 25 gennaio al Teatro Madrearte di Villaricca e verrà replicato sabato 15 febbraio (ore 21) al Piccolo teatro dell’Ex OPG in via Matteo Renato Imbriani 218, Napoli.
Nato come evoluzione di un corto omonimo (vincitore tra l’altro di numerosi premi) questo spettacolo ha il merito di essere riuscito a portare in scena l’astrazione mentale di un personaggio, cosa mai banale e mai facile. Per questo motivo e per la bravura dei suoi interpreti va sicuramente visto ed incoraggiato.
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