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“Ci vedo doppio”

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Il tema del doppio nella letteratura

C’è un piacere perverso nel guardarsi allo specchio, nell’indugiare davanti ad una vetrina per ammirarsi, talvolta sistemare un capello fuori posto, ed è strano che perfino chi non ama il proprio corpo non riesca a staccare gli occhi da ciò che ci vede riflesso.

A volte questa azione è accompagnata da timore, immaginando eventi orrorifici che potrebbero scatenarsi al di là della superficie riflettente, altre volte, invece, da disgusto per ciò che si vede e che non si vorrebbe che fosse così evidente e spietato, altre volte ancora ci si sofferma su un dettaglio a noi conosciuto ed evidente, ma che sfugge a chi non ci conosce bene.

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Nell’antichità, lo specchio era un oggetto dai poteri fortemente magici, capace di intrappolare qualcosa della persona che vi si specchiava o di svelare aspetti nascosti.

Ancora oggi, in alcune zone del napoletano, ad esempio, si suole coprire gli specchi quando muore qualcuno in casa, per il timore che la sua anima possa restare intrappolata in quell’oggetto infernale.

Non è un caso che uno dei topos delle storie d’orrore ha come arredo uno specchio, portale per o da altri universi o, più semplicemente, superficie in cui, guardandosi, è possibile accedere alle più recondite profondità dell’essere, scrutando un altro io che non si conosce mai completamente.

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E non deve stupire nemmeno che, girovagando su Facebook, tra i video che vogliono scatenare terrore in chi li guarda, spesso i più raccapriccianti sono proprio quelli in cui si vedono persone allo specchio, momentaneamente distratte, che danno vita autonoma al proprio riflesso.

Il tema del doppio, dell’alter ego, della doppia personalità o, più letterariamente, del doppelgänger, è un tema atavico, che ha attraversato tutte, o quasi, le epoche e i generi letterari e artistici e che risale alle prime forme letterarie classiche.

Già James Frazer, nel Ramo d’oro, evidenziava quello stretto ed inquietante legame tra sé stessi e le proprie ombre o le proprie immagini riflesse nell’acqua, ma è nella letteratura latina che questo tema comincia ad essere esplorato più dettagliatamente. A parte il Narciso delle Metamorfosi di Ovidio, innamorato della propria immagine che egli non riconosce come sé stesso, vi sono altri personaggi che aprono la strada a questo tema.

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Nella persona dello schiavo Sosia nell’Anfitrione e poi ancora di più nei Menecmi, Plauto, con la sua ironia e sagacia, crea i personaggi e l’ambiente, ripresi poi da Goldoni e Shakespeare, per una commedia degli equivoci basata proprio sui personaggi doppi.

Questo filone è, si può dire, quello satirico e divertente, che suscita il riso per le ambiguità che si vengono a creare e che sono poi risolte nel finale. Ma è forse il filone inquietante e terrificante quello che ha riscosso più successo ed è rimasto impresso ai lettori.

Ed è certamente l’Ottocento il periodo fertilissimo in cui la presenza del doppelgänger vira verso questo filone più tetro.

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Esso diventa rappresentazione della scissione della personalità umana, a seguito anche delle teorie freudiane, e, come tale, mette in campo tutta una serie di dubbi e paure sull’identità dell’individuo.

Sicuramente, una parte del motivo si può ricontrare nel fatto che questo termine, preso dall’esoterismo, sta essenzialmente ad indicare la parte malvagia della persona, quella che non ha ombra né si riflette negli specchi o nell’acqua e che, se incontrata, è presagio di sventura e di morte.

Va da sé che, con questi presupposti, il tema del doppio, nel periodo tra fine Ottocento ed inizio Novecento, è spesso associato ad una crisi di identità.

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Nel Regno Unito, in particolare, questo topos sottolineerà anche la forte dualità tra un’apparenza borghese rispettabile ed una realtà privata che desidera libertà dalle convenzioni e dalle tradizioni.

I due romanzi simbolo di questa forte duplicità sono Lo strano caso di Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson e Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde.

Il tema del dualismo tra bene e male è particolarmente sentito nell’Inghilterra vittoriana, forse anche perché era il segno tangibile del cosiddetto compromesso vittoriano, quel compromesso, cioè, tra la rispettabilità e la ricchezza della società alto-borghese e aristocratica, da un lato, ed il risvolto negativo della miseria, dello sfruttamento di donne e bambini, della prostituzione e della corruzione dilagante, dall’altro, ai livelli sociali più bassi.

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Per la società dell’epoca, infatti, era più importante l’apparenza, dietro cui potevano nascondersi anche le nefandezze più terribili. Il romanzo di Stevenson, ma anche quello di Oscar Wilde, descrivono chiaramente questa contrapposizione piena di ipocrisia tra l’apparenza rispettabile e l’ambito privato, nel quale ogni deviazione dalla morale imperante è lecita e fattibile, purché celata alla società.

Diversi autori hanno indagato i molteplici aspetti di questo tema: Shakespeare, ad esempio, ne ha considerato i tratti psicologici in Macbeth e gli aspetti comici in La commedia degli errori, gli autori dell’Ottocento, invece, ne hanno illustrato le caratteristiche prettamente oniriche e perturbanti, mentre durante il Novecento, con un accento più marcato sulla crisi di identità, gli autori hanno preferito sottolineare il rapporto, positivo o negativo che fosse, tra più peculiarità del personaggio stesso.

Continua…

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