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Ex Mattatoio di Roma: ora si produce solo cultura

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Un viaggio nell’archeologia industriale che oggi vede una nuova vita nel cuore di Roma

Roma, considerata meta ideale per gli amanti dell’arte, accoglie ogni anno milioni di turisti attratti dalle risorse culturali che la città offre. L’Urbe, infatti, ospita tutte le molteplici forme attraverso cui l’arte si manifesta: da quelle tradizionali a quelle più innovative.

Foto: Maria Rosa Palma

Tra quest’ultime sta emergendo sempre più l’archeologia industriale. Questo nuovo fenomeno artistico, nato in Gran Bretagna negli anni cinquanta del secolo scorso, è un ramo dell’archeologia che prende in esame tutti i resti materiali (edifici, macchinari, giornali, foto, ecc.) ed immateriali (ricordi, testimonianze, ecc.) lasciati dall’industrializzazione studiandone l’impatto antropologico che quella realtà ha avuto sulla comunità e l’ambiente in cui sorgeva.

Foto: Maria Rosa Palma

Appartiene a questa nuova forma d’arte l’ex mattatoio di Roma che fu costruito, sostituendo il vecchio vicino Piazza del Popolo, alla fine dell’800 in seguito al nuovo assetto urbanistico della città e per far fronte alle nuove norme igieniche.

Foto: Maria Rosa Palma

Il progetto del nuovo macello – luogo deputato alla macellazione, lavorazione e distribuzioni delle carni destinate al consumo della popolazione-fu affidato all’architetto Gioacchino Ersoch che, tra il 1888 e il 1891, lo realizzò in un’area più periferica tra monte Testaccio e le Mura Aureliane.

Foto: Maria Rosa Palma

In questo spazio, che copre un’area di 105.000mq, fu realizzata questa struttura formata da due parti principali: a nord il mattatoio vero e proprio suddiviso in vari padiglioni rettangolari con funzioni specifiche e a sud il mercato del bestiame, detto Campo Boario, dove gli animali, in attesa di essere portati al macello, venivano custoditi mentre i commercianti del settore facevano le loro contrattazioni.

Ersoch si prodigò a realizzare un impianto che rispettasse la tradizione ma nello stesso tempo fosse anche innovativo alternando al classicismo dell’esterno la modernità dell’interno. Infatti, l’eleganza classica è tutt’oggi ancora evidente dalle facciate esterne dei padiglioni caratterizzate da pareti in mattoni, archi e tetto a falda mentre entrando nella struttura l’innovazione del momento storico prende il sopravvento.

Foto: Maria Rosa Palma

L’architetto, infatti, organizzò lo spazio interno secondo principi ordinatori e sociali, introdusse elementi di ghisa e ferro segnando, così, una notevole apertura e svolta verso la modernità.

Grazie alle soluzioni architettoniche e tecniche adottate, l’intero complesso diventò una struttura efficiente e funzionale tale da essere considerata, per molti anni, una delle più avanzate d’Europa.

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Foto: Maria Rosa Palma

Nel 1975 il mattatoio venne dismesso e, dopo anni di diatribe su come recuperare e usare gli spazi oramai abbandonati, a partire dagli anni duemila, queste vecchie strutture vennero ristrutturate e trasformate in spazi adeguati a ospitare eventi, mostre, manifestazioni, ossia luoghi in cui si produce ancora del cibo ma per soddisfare non più il corpo bensì la mente. Il primo a essere restaurato fu il padiglione sette dove oggi ha sede il Dipartimento di Architettura mentre altri due padiglioni furono assegnati alla seconda sede del MACRO (Museo d’Arte Contemporanea).

L’ampia zona, invece, in cui una volta avveniva la lavorazione dei suini, la Pelanda, fu ristrutturata trasformandosi in uno spazio suggestivo ideale per accogliere varie tipologie di performance (musica, danza, installazioni, ecc.).

Le aree di questo complesso da recuperare, ad oggi, sono ancora tante ma nonostante ciò, l’ex mattatoio oramai è un punto di riferimento e ritrovo culturale del quartiere, e non solo, Testaccio grazie anche ad eventi organizzati da associazioni ed enti culturali. Purtroppo in Italia le strutture dismesse legate al nostro passato industriale da riconvertire a nuovi usi e destinazioni sono ancora tante e parecchie aree abbandonate attendono ancora una seconda opportunità.

I motivi di questa poca attenzione sono, in primis, la grande fatica e l’impegno che richiede il loro recupero ma soprattutto il poco valore che viene loro attribuito nonostante un “reperto” industriale sia portatore di testimonianze non solo tecniche, architettoniche e tecnologiche (concreto) ma anche sociologiche e antropologiche (astratto).

Davanti a questi beni, infatti, la nostra mente è costretta a lavorare su più fronti abituandosi a guardare la stessa cosa in due modi diversi. Nonostante queste difficoltà, però, l’archeologia industriale sta attirando sempre più persone curiose di conoscere la storia e le vicende antropologiche e sociali legati ad un territorio.

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In questo modo si amplia e s’innova l’offerta del turismo culturale, fonte di ricchezza economica e identitaria per il nostro paese. Inoltre, è anche un nuovo modo per conoscere un passato che ci appartiene, un’ulteriore risorsa da aggiungere all’ingente patrimonio che la nostra civiltà già possiede e che non smette mai di raccontare, sotto nuovi punti di vista, di noi e di quello che fummo.

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