Entertainment
Quando un’anima si perde ma non resta “Soul”
Pubblicato
4 anni fail
La nuova produzione della Pixar, scritta e diretta da Pete Docter, è disponibile su Disney+
Con Soul, Pete Docter prosegue la strada di educazione sentimentale iniziata con Toy Story e che ha toccato i vertici con la sceneggiatura di Wall-e e il capolavoro di Inside-out del 2015.
Soul è la storia di Joe Gardner, insegnante di musica alla scuola pubblica che ancora non ha visto sbiadito il sogno di esibirsi con importanti nomi della musica jazz.
E proprio il giorno in cui, durante una prova combinata da un suo ex allievo, finalmente impressiona una leggenda del sax come Dorothea Williams, che gli propone di esibirsi quella sera stessa, Joe precipita e muore in un tombino.
Diretto verso una sole accecante, ipostasi di un Uno che ingloba a sé le anime [1], Joe scappa, si rifiuta di accettare di essere morto, e cerca una via per ritornare sulla terra e così cogliere la più grande occasione dopo anni di frustrazioni e fallimenti.
Finisce in un aldilà, un ante-mondo che Pete Docter sembra plasmare con teorie platoniche, trasformando l’iperuranio in Io-seminari in cui le anime studiano per essere poi trasferiti in un corpo e così darsi alla vita.
Qui, Joe incontra Ventidue, un’anima che, nonostante abbia avuto tutor del calibro di Madre Teresa di Calcutta e Abramo Lincoln, non riesce a trovare nulla che la appassioni al punto da desiderare di nascere.
Ingannando i seminaristi, entità astratte in qualche modo assimilabili a demiurghi che trasferiscono le anime nei corpi, e che ricordano i personaggi-linea di Osvaldo Cavandoli, Joe si finge suo insegnante ma, come i suoi predecessori, fallisce.
Solo grazie all’aiuto di Spargivento, traduzione di Moonwind, anima momentaneamente nell’aldilà perché in trance euforica, Joe e Ventidue arrivano sulla terra, con il risultato, però, che il primo torna nel corpo di un gatto ingaggiato per fare pet therapy a un Joe in coma, nel cui corpo entra proprio Ventidue.
Una volta confuse e mischiate le anime, destabilizzate le appetenze empiriche del corpo e dello spirito, i due protagonisti imparano a cogliere ciò che uno aveva perso e che l’altro ancora non aveva imparato ad assaggiare.
Con Soul, come in Inside-out, Pete Docter semplifica, per mostrare quanto siano più complesse le cose della vita.
E mentre con Inside-out le emozioni tracciano linee di collegamento interno ed esterno, l’astrattismo di Soul è raccontato attraverso la carnalità delle anime di un fuori mondo.
La storia di Joe non è semplicemente quella di un musicista frustrato ingabbiato da una quotidianità che pare non appartenergli.
Soul racconta come dietro a una vita passata ad esaudire un sogno ci sia il gesto semplice dell’esistenza – mangiare, sentire il vento tra i capelli, passeggiare, ridere – senza il quale nemmeno il desiderio appagato è percepito più.
L’io-seminario non induce le anime a imparare un talento per sopravvivere alla vita ma, semmai, cerca di offrire la possibilità di poter ricordare la scintilla che c’è dentro alle cose.
C’è un certo gioco linguistico che Docter imprime al film e che aiuta a comprendere le dinamiche dei personaggi.
Gardner non è solo uno dei surname più diffusi in America, molti dei quali musicisti Jazz, ma suona simile a gardener, giardiniere, lavoratore instancabile della terra, che coltiva sogni, speranze, futuri possibili, incespicamenti della terra.
Joe finisce per parlare solo di Jazz. È l’unica cosa che gli importa.
Non sente le esigenze degli altri e nemmeno più sente le sue, quelle semplici, elementari, finendo per scordare che, nell’orchestra dell’esistenza – mi si passi questa facile retorica, ma la metafora grida tra le dita – ogni singolo strumento, suono, ritmo, rumore, pausa serve per comporre la melodia-vita.
E da jazzista, pur diventando questa parola, nel corso del film, sinonimo di sentire la vita, Joe Gardner non riesce più a improvvisare, inchiodato nel suo solo soul.
Non è un caso, forse, stando anche al percorso di implicazioni ultraterrene e significanti-significati fin qui fatto, che il nome della sassofonista che lo ingaggia, Dorothea, è composta dalle parole greche δωρον (doron, “dono”) e θεος (theos, “dio”), quindi letteralmente “dono di Dio”.
Un dono che Joe non coglie, isolandosi nel suo mood durante le prove, e che comprende solo quando capisce cosa si rischia a perdere tutto il resto.
Perché allora Ventidue? È un numero maestro che ha a che fare con la consapevolezza ai problemi di ordine pratico e che sviluppa, nelle persone influenzate da questo numero, una particolare passione per la metafisica.
Legato al numero quattro, rappresentazione della concretezza delle idee tangibili, ci aiuta a capire perché, tra tutte le anime platonicamente perfette e immutabili, proprio Ventidue è destinata a correlarsi-innestarsi con Joe Gardner che di pratico non ha nulla.
La praticità però di Ventidue non è quella della madre di Joe che lo vorrebbe lontano dalla musica e più predisposto a lavori con contratti certi e sicuri, ma quella più prossima della vita.
Una volta fattasi “vita”, infatti, Ventidue, col corpo di Joe, del quale conserva le memorie, sente e apprezza fino in fondo odori, sapori e tatto, tutto ciò che nell’ante-mondo è negato alle anime, perché private di esperienza.
È così che Joe e Ventidue trovano il coraggio di vivere realmente, oltre l’inconsistenza delle corse che ci obblighiamo a fare per dare un senso alla nostra vita.
I due mondi, materiali e immateriali – correlati di immaginari noti al grande pubblico, tra zone oltre-mondo, buchi spazio-temporali, sciacquature d’anime in Eunoè o Lete che dir si voglia – vivono di una separazione cromatica necessaria per il filone metafisico richiesto, dove solo Joe possiede un’anima già contornata e adattata esteticamente alla gabbia corporea della vita (anche gli occhiali restano nell’anima-animo miope di Joe), ma che alla lunga pare quasi di stare a guadare due film d’animazione differenti.
Le anime, che a qualche affezionato delle sorprese Kinder anni 90-2000 potranno ricordare quelle catarifrangenti al buio che uscivano dall’ovetto, peccano, forse proprio perché ancora non hanno subito i segni della vita, fin troppo di personalizzazione.
Prima di nascere, prima della vita, le anime sono tutte uguali solo esteticamente: i demiurghi-seminaristi le dividono tra egocentrici e insicuri, dando maggiore spazio, con un tocco di geniale sarcasmo dell’autore, alle prime.
Soul si mostra con complessità che, a differenza dei precedenti lavori di Docter, ma anche in generale della Pixar (si veda Coco), non sembrano essere fatte per un pubblico di bambini.
Ma può appassionare uno spettatore più smaliziato e predisposto al sentire, che necessita di storie in grado di raccontare la necessità di essere prima ancora di apparire e diventare.
[1] riferimenti alla Dottrina neoplatonica di Plotino.
Potrebbe piacerti
Qualiano: rifiuti abbandonati in via falcone
Comune di Baronissi, la Sindaca Anna Petta: “Lunedì 9 Settembre inaugurazione del Polo dell’infanzia di Caprecano”
Qualiano, Distribuzione della Carta “Dedicata a te” 2024: I Beneficiari verranno contattati dal Comune
Milano, 5 Settembre 2024: Pizza, musica e passione al Coca-Cola Pizza Village
Sanità, UGL: “Dall’incontro al Mimit sulla Fondazione Santa Lucia nessuna novità”
Dai pediatri Sipps un decalogo per rientro a scuola sereno