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Tornare bambini tra balocchi e ricordi: “L’ospedale delle Bambole” a Napoli
Pubblicato
3 anni fail
“Abbi cura dei tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo”
C’è un posto a Napoli in cui questa famosa citazione di Bob Dylan trova un valido supporto. A Spaccanapoli, nel cuore della città partenopea, sorge l’Ospedale delle Bambole, nato nel 1895 ad opera di Luigi Grassi e portato avanti da ben quattro generazioni fino ad arrivare ai giorni nostri.
Luigi Grassi era uno scenografo dei teatri dei pupi napoletani e spesso creava e riparava le sue scenografie e i pupi nel suo piccolo laboratorio in via San Biagio dei Librai.
Per puro caso, su richiesta di una mamma del posto, gli capitò di aggiustare la bambola alla sua bambina. Ottenuto un ottimo risultato, la notizia si diffuse in tutto il quartiere e così, quella che era stato un fatto eccezionale, diventò una consuetudine.
In un’epoca in cui non vi era ancora il consumismo ma una bambola durava per tutta l’infanzia, lo scenografo cominciò ad aggiustare i giocattoli dei bimbi della zona ed il laboratorio si riempì di pezzi di ricambio (braccia, gambe, occhi, ecc.).
L’ospedale delle bambole
Luigi Grassi, dall’aspetto eccentrico per i suoi lunghi baffi e quel ciuffo sulla fronte, operava indossando un camice rigorosamente bianco tanto da far esclamare ad una donna: “Me par’ proprio o’spital r’e bambole” (“Mi sembra proprio un ospedale per le bambole”), affermazione che non passò inosservata.
Prendendo spunto da questa esclamazione, lo scenografo ebbe la geniale intuizione di scrivere con della vernice rossa su una tavoletta di legno “Ospedale delle bambole” aggiungendo anche una croce, proprio come la scritta di un vero e proprio pronto soccorso.
Inventava così una insolita arte che diventò anche il suo nuovo lavoro e che trasmise, poi, direttamente a suo figlio Michele ed indirettamente al nipote Luigi e alla pronipote Tiziana che porta avanti tuttora questa importante eredità artistica.
Da ospedale a museo
Ovviamente, dalla fine dell’800 ad oggi, qualcosa è cambiato ed anche l’Ospedale si è dovuto adattare ai tempi.
Data la crisi dell’artigianato ma tuttavia, vista l’affluenza di curiosi provenienti da tutto il mondo che ogni giorno visitano questo luogo così raro nel suo genere, è nata l’idea di trasformarlo in un museo dove custodire e rendere fruibile a tutti questa “particolare” forma artistica.
Per questioni di spazio, il laboratorio ha trovato, dal 2017, una nuova sede all’interno di palazzo Marigliano, in via San Biagio dei Librai al civico 39, a soli 50 metri della sede originaria.
I reparti
Questa struttura, come un vero e proprio ospedale che si rispetti, è diviso in vari reparti: ortopedia, oculistica, medicina interna e riabilitazione. Nel Bambolatorio, invece, le “pazienti” bambole, fornite di diagnosi e prognosi sul loro “cartellino clinico”, attendono in comodi lettini di legno di essere curate.
Restando al passo con le innovazioni mediche, non manca uno spazio dedicato alla donazione degli organi dove si possono portare pezzi di bambole da “trapiantare” a chi ne ha bisogno.
Infine, c’è anche il reparto bellezza dedicato al trucco e parrucco dove, come in un vero centro estetico, le bambole vengono sottoposte a messe in piega, truccate affinché, quando saranno dimesse, siano impeccabili.
In questo museo, che continua a svolgere ancora la sua originaria funzione di aggiustare giocattoli di vario tipo (bambole, pupazzi, ecc.), il vero protagonista, tra gambe, occhi, nasi, vestiti, cappelli, è il ricordo che prende forma attraverso questi oggetti “infantili”.
Valori affettivi
Nasce così un museo insolito dove il valore di ciò che è custodito all’interno non è legato al bene o oggetto in sé quanto, piuttosto, al suo valore emotivo e sentimentale.
Cosi, quello che può sembrare solo un semplice balocco e che magari che il tempo ha anche un po’ sgualcito, per qualcuno rappresenta una parte della sua vita che lo catapulta nel suo mondo spensierato di bambino.
Una volta che il giocattolo è guarito ed è pronto per le dimissioni, il proprietario, con gli occhi pieni di stupore e meraviglia tipici di un bambino, vive un improvviso flashback di momenti giocosi e sereni riappropriandosi di un pezzo della sua infanzia.
Infatti, come ci testimonia la direttrice del museo, nonostante viviamo in un’epoca in cui è più comodo comprare che aggiustare, sono in tanti, e soprattutto bimbi oramai adulti, che portano a riparare i loro giocattoli perché custodi dei loro sogni, segreti ed emozioni fanciullesche e autentiche verso cui a volte ci si sente un po’ nostalgici.
La “primaria” Tiziana Grassi e la sua assistente Alessandra Colonna, grazie alla loro bravura e alle loro indiscusse capacità tecniche, con le loro mani esperte guariscono non solo una bambola, un pupazzo, ma un ricordo che la fretta, la frenesia ed il tempo fanno cadere nell’oblio.
Questa antica “puteca” diventa, così, un angolo di spensieratezza e leggerezza dove prendersi una pausa dal mondo degli adulti e, tra balocchi e ricordi, tornare un po’ bambini per vivere poi meglio nel mondo dei grandi.
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