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Antonio De Mitri presenta l’opera “Una stagione in gabbia scenica”
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2 settimane fail
“Lamenti e visioni di una realtà senza scampo”
- Casa editrice: peQuod Editore
- Collana: Rive
- Genere: Raccolta poetica
- Pagine: 154
- Prezzo: 16,00 €
«stanco/dal treno dei vivi mi/stacco e vado/a finire/in una stazione niente/senza fare/alcuna senza/pietà/la stazione sta/a guardarmi marcire l’io/marciume è/rimasto stesa/cosa ancora/per terra della/pietà in attesa»: “Una stagione in gabbia scenica” di Antonio De Mitri è una silloge poetica intensa e tagliente, in cui possiamo trovare liriche brevi e caratterizzate dall’assenza di maiuscole e da un uso creativo della punteggiatura.
Niente è semplice in queste poesie: il significato va cercato con attenzione, andando oltre gli ostacoli dati dall’ermetismo dell’autore; quando però si arriva al nocciolo della verità, si viene ricompensati da questi componimenti che parlano sia della vita personale del poeta ma anche dell’esistenza di tutti noi.
La raccolta poetica è divisa in otto sezioni: “orfeo all’inferno”, “la danza della morte”, “l’arte della fuga”, “la dannazione di faust”, “anni di pellegrinaggio”, “morte e trasfigurazione”, “il crepuscolo dell’idolatra” e “pavana per uno spirito defunto”; già dai titoli si può riscontrare la cura con cui l’autore presenta il suo punto di vista sul mondo e sulla condizione dell’essere umano, andando a catturare suggestioni dal mito, dalla letteratura e dalla musica.
Antonio De Mitri è per professione un ingegnere biomedico e un poeta per passione e vocazione; il suo lavoro lo ha portato a riflettere molto sulla natura umana, e sulla disumanizzazione sempre più imperante: le sue liriche, infatti, sono abitate da un lucido pessimismo, derivante da una presa di consapevolezza di questa realtà ormai corrotta in cui l’uomo non ha più tanti margini di libertà.
Ed ecco che quindi il poeta lancia il suo grido di dolore, come nella lirica “black loop”: «brutture vedo. e ancor brutture prevedo. bruti omìni che m’insozzano. brutture vedo. e ancor brutture prevedo»; e ancora «è l’essere/ umano un concetto/una proiezione mentale/che più/o meno rapidamente/si approssima/all’infinito/sconforto».
Lo stesso titolo dell’opera sembra rimandare al poema in prosa di Arthur Rimbaud “Una stagione all’inferno” (“Une saison en enfer”): l’inferno, in questa silloge poetica, è rappresentato dalla vita, recitata drammaticamente su di un palcoscenico da cui è impossibile scendere; è una messa in scena crudele e tragica, in cui l’essere umano cerca risposte a domande mal riposte e cerca conforto in una realtà senza scampo.
Eppure, alcune delle liriche contengono un seme di speranza: l’umanità è ancora capace di atti sovversivi che possono cambiare le cose, che possono rompere le gabbie in cui è imprigionata – «un sorriso non/sono pazzo se/mi affaccio sul/mare di sangue che/ricopre/il mondo vedo/sul fondo un/sorriso è vero».
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