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Siro Comencini, scrittore per passione si racconta

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Siro Comencini racconta il suo rapporto con la scrittura e i suoi romanzi in un’intervista rilasciataci

Per conoscere più da vicino lo scrittore Siro Comencini, noi di Punto Magazine gli abbiamo posto alcune domande per indagare i suoi romanzi e il suo rapporto con la scrittura… Ecco cosa ci ha raccontato.

Siro Comencini. Sulla Sua biografia si legge: “professionista del commercio internazionale con esperienza da formatore in ambito di comunicazione d’impresa”. Dal 2021, con “Ikigai” prima e con “Step Back” poi, è diventato anche scrittore.

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La prima domanda che viene naturale rivolgerle è in che modo riesca a dividersi tra gli impegni lavorativi e quelli autoriali. Ci sono stati dei momenti in cui ha dovuto sottrarre del tempo alla Sua viva professione per dedicarsi alla scrittura? Se è accaduto, come si è relazionato al problema?

Al momento riesco a bilanciare bene le due cose. La scrittura per ora rimane una grande passione, ed in quanto tale viene confinata nei momenti di tempo in cui posso darle la giusta attenzione, spesso durante i miei spostamenti in treno o aereo. In realtà non ci sono stati grossi problemi anche perché normalmente scrivo la sera o di notte, quando tutto si spegne e tendo ad accendermi io; quindi, per ora, l’unico danno collaterale sono le ore di sonno regalate all’espressione.

Ha qualche rito propiziatorio che precede la stesura dei Suoi romanzi? Qual è il momento in cui preferisce scrivere e perché?

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Come detto, preferisco farlo alla sera, o di notte. Il rito che rispetto è quello della musica. Solitamente metto un brano che collego ad una specifica emozione, ed in base a quello che arriva determino l’argomento del capitolo che andrò a scrivere.

Rispetto al suo personale rapporto con la scrittura, ci piacerebbe domandarle in che modo è avvenuto l’incontro con la letteratura. Che cosa l’ha spinta a scrivere davanti al richiamo del foglio bianco? Quando è accaduto? È affiorata prima l’idea del romanzo o, al contrario, la vocazione di individuare un nuovo modo di lasciare qualcosa di sé? Di raccontare storie che potessero essere d’aiuto ai suoi lettori?

Ho iniziato come vera e propria terapia, per lenire e giustificare gli stati d’animo a cui non sapevo al tempo dare un indirizzo specifico, cercando di riversare sui fogli quanto sentivo sorgere dentro ma non riuscivo ad esprimere nei rapporti. Grazie alla scrittura sono riuscito a conoscermi e far conoscere parti di me che mai erano affiorate prima, e grazie alla contemporanea psicoterapia sono riuscito anche nell’ardua missione di gestirne i picchi emotivi. Ora mi dedico alla scrittura con la voglia di condividere questi stati, sperando possa portare il lettore a sentirsi meno solo quando e se dovesse trovarsi nella condizione di viverli. Mi piace pensare che scrivere libri sia un modo di lasciare traccia di me al mondo in maniera indelebile, e se avrò un figlio, voglio possa leggere di me quando non sarò più con lui per sentirmi ancora li.

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La scrittura spesso e volentieri si rivela per chi la utilizza uno strumento utile – non solo a diffondere un messaggio a un determinato pubblico di lettori – soprattutto per comprendere qualcosa di sé che prima sfuggiva. Che cosa Le ha insegnato la scrittura? Le ha tolto qualcosa o le ha solo dato?

Mi ha insegnato che quello che conta è l’intenzione, sempre, aldilà del risultato che possa ottenere. La mia è quella di mettere il vero al centro della vita, come nella mia scrittura. Permette di contornarsi di persone che si riconosceranno in quello che fai e ciò che sei con grande semplicità, rilassando il concetto di accettazione per sposare quello di apprezzamento e sentita partecipazione. Non mi ha tolto nulla per ora, al massimo mi ha regalato la consapevolezza di ulteriori limiti che intendo superare.

Una grande scrittrice come Elsa Morante diceva sempre che avrebbe preferito che a parlare di sé fossero i suoi libri, più che le proprie parole. Cerchiamo ora di concentrarci sulle sue opere, quindi. “Ikigai” e “Step Back” sono due libri diversi tra loro, eppure hanno parecchi punti di contatto, perché sempre di sentimenti raccontano. Le va di raccontarci che cosa li accomuna e che cosa invece li separa definitivamente?

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Concordo con la Morante, anche perché ogni lettore trae soggettivamente dalla scrittura l’idea del profilo dello scrittore ed è giusto sia così.

Ikigai e Step Back sono diversi nella trama ma accomunati nell’attenzione maniacale ai sentimenti. Ikigai è stato scritto per portare alla luce tutti i retropensieri legali alla sfera dell’incontro tra due innamorati, cercando di porre in prima linea tutto il non detto che si cela tra le azioni a volte incomprensibili nella relazione di coppia.

Step Back fa la stessa identica cosa ma dal punto di vista adolescenziale, dove con cura ho provato ad evidenziare quanto comportamenti discutibili e difficilmente interpretabili dal mondo degli adulti trovino invece perfetta armonia nelle motivazioni prive di filtri, tipiche di quell’età in cui i genitori perdono il dialogo coi figli.

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In sostanza, trovo fondamentale porre in evidenza quanto le azioni contornate da silenzi possano nascondere grandissimi significati, e vadano osservate con attenzione almeno quanto le parole dette ed i dati di fatto più scontati. Naturalmente differiscono nel tipo di contenuti, immagini e livello delle riflessioni.

Ikigai Siro Comencini

In Ikigai ci si trova a contatto con stati emotivi profondissimi, un tuffo in nell’intimo del proprio io. In Step Back si torna bambini, e si viene abbracciati da quella sensazione di comprensione che ci è mancata ogni volta che abbiamo provato ad essere migliori di noi stessi senza riuscirci o semplicemente evoluti rispetto all’ambiente circostante.

Sia nel primo che nel suo secondo romanzo l’amore inteso come sentimento positivo è una tematica centrale: nel primo caso quello per gli altri da sé – la capacità che abbiamo di individuare e accogliere l’amore al di fuori di noi; mentre con “Step Back” sicuramente c’è un focus maggiore sull’amore per noi stessi – che alla fine non si discosta molto dal concetto di consapevolezza e auto-determinazione. Ritiene che sia fondamentale dedicare del tempo ad ascoltare i nostri bisogni e le nostre necessità? Secondo Lei, in che modo è necessario comprendersi (e dunque amarsi) prima di aprirsi all’amore che proviene dall’esterno?

Lo ritengo fondamentale; passiamo la vita a giustificare o giustificarci per le nostre reazioni, senza comprendere da dove derivino e perché siano naturali per noi.

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Step Back

Spesso si reagisce per semplici strategie emotive, al solo scopo di evitare il dolore e sofferenza interiori, ma senza la comprensione profonda non c’è consapevolezza e di conseguenza scelta in quello che facciamo. A mio parere l’accettazione passa da un percorso serio di analisi dei dettagli che compongono la nostra struttura di pensiero, che per me si è rivelata attraverso una psicoterapeuta molto capace, ed alcuni studi in merito a questa materia che ho voluto approfondire per interesse personale.

Non ho di sicuro una soluzione ideale per comprendersi, ma l’errore che ho sempre fatto è stato quello di non pensare al cervello come a qualsiasi altro organo, che può quindi avere problemi risolvibili e cure assolutamente assimilabili con il lavoro di uno specialista. Se mi stiro un quadricipite correndo, la prima cosa che faccio è andare da uno specialista e chiarire lo stato della lesione per poi stabilire cure e riabilitazione adeguate, in modo da riottenere i corretti schemi motori.

Perché quindi quando ho un pensiero ricorrente che non mi fa stare bene, o mi ritrovo spesso in relazioni o situazioni inadeguate per la mia personalità non dovrei trattare la cosa allo stesso modo facendomi aiutare da chi può correggere i miei schemi di ragionamento? Solo scoprendo con umiltà le nostre origini possiamo comprendere davvero chi siamo, ma soprattutto scegliere chi vogliamo essere senza trovarci vite preconfezionate da sopportare più che vivere.

Non chiederemmo mai a un genitore quale dei suoi figli preferisca, ma in questo caso ci permetta di fare un’eccezione – nonostante sempre di figli, in qualche modo si tratti. Se dovesse scegliere uno tra i due romanzi che ha scritto quale preferirebbe raggiungesse il numero maggiore di persone? E perché?

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Domanda difficile in effetti. A mio parere un libro non esclude la lettura dell’altro, solo che per Ikigai servono una musica leggera in sottofondo magari un pianoforte, una sera dove abbiamo voglia di lasciare il mondo fuori, una candela ed una dedizione alla lettura che non preveda distrazioni di sorta.

Per Step Back può bastare anche una panchina di un parco qualsiasi, magari quello in cui siamo cresciuti per ritrovarci i pensieri a cui veniamo spinti. Non importa quante persone riuscirò a raggiungere con i miei romanzi, quello che mi interessa realmente è accarezzare le anime di chi leggerà, sapendo che quando si emozioneranno o troveranno significato tra le mie parole staranno implicitamente contribuendo a guarire ogni cicatrice da cui sono derivate.

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