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L’Europa in cantiere. Viaggio nel cuore operaio della Polonia

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Polonia
foto da redazione

Polonia: anche oggi si parte verso una destinazione che celebra il “Lavoro” e le lotte per i diritti dei lavoratori e che ha cambiato Storia e Geografia d’Europa!

Dall’osservatorio situato sulla terrazza, dall’alto dei suoi 25 metri, la vista “da cartolina” della città è quasi del tutto assente. Capannoni, depositi, officine. Silenziose ed altissime gru fanno ombra a scavatrici e ruspe. Le luci lampeggianti e il mancato sincrono dei suoni intermittenti dei sensori di movimento segnalano che i lavori sono in corso. Un panorama dominato da varie sfumature di grigio e ruggine, dall’odore pungente dei gas di scarico e puntellato di fosforescenti sagome umane. Siamo in Polonia, sul Baltico.

Non nella Danzica dal centro storico splendidamente riscostruito dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma nella Danzica che costruisce la sua economia e il suo futuro. I cantieri navali di Gdańsk, questo il suo nome in polacco, sono un luogo fondamentale da visitare, non solo per la sua importanza economica, ma per l’eccezionale valenza storica.

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Da qui, a partire dall’agosto del 1980, si sono sprigionate quelle scintille che, spinte dal vento di cambiamento post-bellico che aleggiava nel vecchio continente, ne avrebbero modificato la Storia e la Geografia, ossidando e polverizzando lentamente la “Cortina di Ferro” e avviando il processo di formazione della moderna Europa. A dieci anni dalla sua inaugurazione, Il “Centro Europeo della Solidarietà” (in polacco, “Europejskie Centrum Solidarności”) costruito proprio nel perimetro dei cantieri navali, è un’area industriale riconvertita. Un design moderno coniuga architettura di recupero con spazi espositivi per mostre e conferenze che gravitano intorno al tema del lavoro: a disposizione gratuitamente una biblioteca con sale di studio e un “caffè” per incontri professionali e di svago.

Neanche il “green” è lasciato al caso: come la speranza riesce a rompere anche i muri, anche le piante sembrano “spuntare” delle pareti in acciaio “Cor-Ten”.

Un duplice messaggio di forza, di determinazione, di resistenza. Gli stessi valori in cui hanno creduto all’unisono gli operai che, nel 1980, diedero vita alla prima forma di sindacato libero, conosciuto come “Solidarność”. La mostra permanente racconta e ricostruisce la routine lavorativa e la lotta dei dipendenti dei cantieri “Lenin”, attraverso documenti cartacei, reperti di “archeologia industriale” e istallazioni interattive.

L’alterazione del concetto di “lavorare per vivere” e “vivere per lavorare”, dettato dalle condizioni di impiego e dall’aumento dei costi della vita, conduce ad un diffuso senso di insoddisfazione che diventa intollerabile, quando la gruista Anna Walentynowicz viene licenziata, in realtà, per motivi politici. Iniziano lo sciopero, le proteste, le richieste.

I “21 Tak”, scritti a mano, prima su un volantino, poi su tavole di legno, sintetizzano i punti della lista di richieste da cui è partita la rivolta, che ha sempre mantenuto un carattere di fermezza, mai di violenza.

Quei “21 Sì”, in seguito, avrebbero, virtualmente unito oltre dieci milioni di polacchi: da embrionale sindacato, legale solo per 16 mesi, “Solidarność” continua la sua attività in clandestinità. Affronta i pericoli concreti della legge marziale, degli scontri, delle repressioni, fino a diventare movimento politico e a condurre il suo leader, l’elettricista Lech Wałęsa alla vittoria del Premio Nobel per la Pace nel 1983 e, alla presidenza della Polonia dal 1990 al 1995.

Quei “21 Sì”, oggi, sono tutelati dall’Unesco, come simbolo della “Memoria del Mondo”. Migliaia di caschi gialli incollati sottosopra al soffitto e le divise pendenti dalle travi rappresentano visivamente la classe operaia, svuotata della sua identità e strozzata dal suo stesso impiego.

La condizione di clandestinità è testimoniata dalle presse per stampare volantini, utilizzati per continuare in segreto la propaganda. Violente, invece, le repressioni che sono rese al pubblico, tramite la presenza lungo il percorso, del mezzo blindato della polizia, il cancello divelto, il muletto giallo manovrato da Anna, il foro di proiettile nel giubbotto di Ludwick Piernicki, operaio ventenne, vittima di scontri risalenti al 1970, che è diventato simbolo delle lotte operaie polacche di tutti i tempi.

L’esposizione dell’autovettura bianca (la cosiddetta “Papa-mobile”) utilizzata da Giovanni Paolo II, durante la sua visita del 1979, evidenzia il legame forte della popolazione con la fede cattolica, risultata determinante nella contrapposizione all’atea ideologia comunista che, di fatto, governava in condizioni di sfruttamento inaccettabili.

Infine, La gigantografia del logo di “Solidarność” è formata da tanti block-notes, sui quali i visitatori possono lasciare un commento sulla visita o, come capita più spesso, una riflessione sul lavoro e sul valore universale di diritti che, forse, oggi ci sembrano scontati come lo sciopero, la maternità, la libertà di espressione, la sicurezza. I colori della bandiera polacca, che ricordano, forse casualmente, il bianco delle “morti sul lavoro” e il sangue innocente delle vittime della lotta operaia, si fondono graficamente in un tracciato da elettrocardiogramma,

raffigurando la solidarietà come dei cuori, che per riuscire nell’intento, devono essere forti e battere all’unisono.

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