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Entertainment

Wadi Rum, l’effetto speciale del deserto

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Un angolo meraviglioso nel sud del Regno Hascemita di Giordania che ha fatto da scenario per innumerevoli ed indimenticabili film

Sotto un sole furente che non concede ombre, una fila di cammelli incede lenta sulla linea dell’orizzonte; i fuoristrada, zigzagando a distanza, procedono cauti seguendo la rotta, anche se non esistono strade.  Carovane moderne, formate non più da mercanti e avventurieri di un tempo, bensì da viaggiatori di oggi che realizzano il sogno di essere atterrati sulla Luna o su Marte, pur restando coi piedi per terra e sulla Terra.

Nel sud del Regno Hascemita di Giordania, a circa 60 km dalla città di Aqaba, il “Wadi Rum”, area desertica semi rocciosa, protetta dal 1998, è considerato uno dei luoghi più spettacolari di tutto il pianeta.  Chiamato anche “Valle della Luna” per la sua orografia e i suoi colori cangianti, è stato spesso scelto dal Cinema Hollywoodiano, come scenografia per pellicole ambientate su Marte o altri pianeti immaginari, come l’”Arrakis” di “Dune”, il cui secondo capitolo della saga è attualmente nelle sale cinematografiche. Se lo scenario naturale fosse una categoria premiabile con l’ “Oscar”, probabilmente, il “Wadi Rum” avrebbe vinto l’ambita statuetta dorata, già con la pellicola del 1962 di David Lean, che volle girare, proprio nel “teatro” originale degli eventi, le scene più spettacolari di “Lawrence d’Arabia”, raccontando le gesta del controverso personaggio, (tenente colonnello britannico, agente segreto, esperto di archeologia e, in seguito, anche scrittore) che guidò la rivolta araba contro l’invasore ottomano. L’esperienza più “turistica” è, probabilmente, la riproduzione dell’assalto alla ferrovia, che viene “messa in scena” per assaporare, in qualche modo, la situazione più rocambolesca del film, ma sono ben altre le emozioni vere che questo straordinario angolo di mondo riesce a suscitare.

Tra la realtà del libro e l’enfasi del cinema , i luoghi legati alla figura  di  T.E. Lawrence sono le tracce che i beduini, guide dell’area protetta, seguono per accompagnare il viaggiatore alla scoperta delle tappe più suggestive: prima fra tutte, “Sette Pilastri”, la maestosa roccia con sette colonne in arenaria, a cui è stato dato lo steso nome del suo libro (“I sette pilastri della saggezza”);  i resti della sua “casa”, un rifugio strategico, occultato tra le rocce; la fonte di acqua che porta il suo nome, dove giovani pastori sostano all’ombra di uno dei rari alberi in questa zona, in compagnia delle loro greggi di capre bianconere e ai dromedari, decorati con vistose nappe colorate.

L’esplorazione di questi luoghi è un viaggio intenso, anche di parallela introspezione dell’anima. Le percezioni mutano, si amplificano e il tempo, così come il ritmo, rallenta. Il corpo e l’anima si dilatano insieme, non solo per il caldo: si espandono per raccogliere e accogliere i dettagli che la mente mira a conquistare e conservare. Un racconto prezioso narrato dalle sculture erose dal vento, dalle fratture nelle rocce, dalle rughe delle facce della gente di queste terre, capaci di un’ospitalità ancora autentica, che comincia col rituale benvenuto mediorientale al gusto di caffè nero e datteri e che prosegue, accompagnando il viaggiatore lungo il cammino.

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I beduini, nelle loro tuniche scure e la tradizionale “Kefiah” bianca e rossa sul capo, mostrano con fierezza le rovine di un antico tempio nabateo, indicano la direzione per inoltrarsi nel “Jebel Kahzali”. Attraversato l’ingresso celato da rari, rigogliosi e verdissimi alberi, ci si addentra in una gola strettissima, dalle pareti vertiginose, in un percorso non semplicissimo, per ammirare, infine, alcuni petroglifi. Si tratta di incisioni arcaiche che svelano battaglie, scene di vita o di caccia ad animali riconoscibili o non più esistenti, pagine di storia scolpite nella pietra. La conoscenza che sfida il tempo. In questo e in altro, il deserto è generoso: la sua vastità regala l’illusione di essere pionieri di segreti svelati ormai da centinaia di anni; la sua varietà, dona la riscoperta di percezioni assopite; la sua durezza riconduce all’umiltà. Il deserto è giusto: come metafora della vita, ripaga sempre, anche quando chiede in cambio un grande sforzo, come nelle salite. L’inclinazione è notevole, i piedi affondano, ma, raggiunta la vetta della grande duna rossa, la vista è impagabile: un incanto assolato e assoluto, davanti al quale ogni vanità individuale si sgretola, mescolandosi con la sabbia.

Archi di roccia, ingegni del vento, che, senza alcun calcolo strutturale di sicurezza, resistono da tempo immemore e profondono, equamente, vertigini e adrenalina. Nella spianata rossa di “Al Ghuroub”, il tramonto che infiamma e incenerisce un altro giorno è la perfetta celebrazione della sua immensa solennità e l’anima ritrova, in quel “vuoto”, la sua interezza. Il deserto è una fucina di emozioni che il sole e le stelle forgiano di giorno e di notte. Le sistemazioni nei “glamping” (campeggi glamour) sono una scelta obbligata: qui, il campo si riferisce solo al perimetro e non alla ricezione del telefono: i cellulari non funzionano e si è isolati dal resto del mondo. Le uniche connessioni possibili sono quelle con gli altri esseri umani, con la Natura o con sé stessi.  Che si scelga una futuristica “Bubble”, una spaziale bolla trasparente da pianeta sconosciuto, o una tenda da esploratore di viaggi del passato, l’illusione di un’autentica esperienza beduina svanisce in fretta, così come la perfezione della grande hôtellerie da cinque stelle. Per fortuna, fuori, il “cielo illune” (come lo definiva Lawrence) regala un firmamento incredibile, impossibile da osservare nelle notti metropolitane, artificialmente troppo illuminate.

Nella pura contemplazione, il respiro si allinea con il vento, gli occhi si abituano alla diversa intensità di luce, lo spirito si rigenera sotto un cielo di milioni di stelle. Il tempo del sonno si consuma in fretta, per assistere all’imperdibile alba dorata e all’accendersi di un nuovo giorno, con la consapevolezza, ancor prima di lasciarlo, che il deserto del Wadi Rum, con il suo “effetto speciale”, ti è indelebilmente entrato nella mente. 

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