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Morto Troisi, Viva Troisi!
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4 anni fail
A 26 anni dalla morte, il ricordo di Massimo Troisi è ancora vivo.
La pucundria, come diceva Pino Daniele, può sbatterti ogni minuto in petto, arriva quando meno te ne accorgi, all’improvviso, pure mentre stai prendendo un caffè da solo, pure mentre stai guardandoti la TV per i fatti tuoi; e ti piglia proprio quando sei più stanco, distratto, quando sei più debole, indifeso e senti che ti manca qualcosa, forse qualcuno.
Un desiderio recondito, una tristezza ancestrale. E chi lo sa.
Può significare tutto, può significare niente, ma in linea generale, la puncundria è una specie di catalogo astratto di aggregati negativi.
Un sentimento che ti toglie la voglia di fare tutto e però non è che stai proprio male male.
E in quell’angolo di crogiolamento dei sentimenti, tra un riso amaro e una strana attitudine alla solitudine la pucundria è veleno e cura.
Ogni anno, il 4 giugno, c’è l’usanza per gli orfani di Troisi di cadere in una strana pucundria.
Il contributo artistico di Troisi è stato breve e intenso come nervo costante di bellezza, tirato a lucido, al massimo, forte, duro, contratto, posizionato, pronto a essere lanciato come in una balestra, o un arco, e lanciare veloce la freccia.
Quanto ha lasciato è un taglio profondo, largo, indolore ma che si fa sentire, enorme: un immaginario fatto di parole che si inceppano al cuore, un linguaggio afasico, una balbuzie del cuore, parola su parola, che è l’incertezza dell’anima, l’insicurezza di un uomo che sa di avere poco tempo e deve dire tutto.
È stato la parola che si è fatto carne, sangue e uomo.
Un uomo che ha saputo cogliere l’importanza dell’improvvisare e delle pause, perfettamente in linea con i suoi sussulti del cuore; e poi la sfacciataggine, l’espressività, il riso, il cinismo, quando ti dà un po’ l’uno e un po’ l’altro nello stesso sorriso, con l’acredine che esce fuori, a poco a poco, come quando l’ultima mandorla che ti porti alla bocca è amara, e ti viene dentro la malinconia del dolce; ha raccontato lo scandire dell’amore sulle relazioni umane fin dentro il particolare, oltre le maschere, in pose e posizioni che non fanno bene a nessuno; ha raccontato la napoletanità senza folklore e perciò mostrandola tutta quanta.
non m’ha mai parlato della pizza,
e non m’ha mai suonato il mandolino.Roberto Benigni
In molte famiglie napoletane, la notizia della sua morte sembrò come se a morire fosse stato uno di famiglia.
Perché in tutte le famiglie, ancora oggi, da sempre, si invitano amici e parenti, se troppo buoni, fessi o impegnati in qualche fisima mentale o nello studio o nel lavoro, in un costante smartworking ante litteram, a scendere e toccare le femmine (Ricomincio da tre).
Perché in tutte le famiglie, quando si organizzano i regali di gruppo, scappa la battuta, allora, noi ci mettiamo 5 euro e tu 1500 euro. (Scusate il ritardo)
Perché la mia faccia sotto ai tuoi piedi e puoi muoverti (Non ci resta che Piangere) è un saluto in calce necessario.
Perché la poesia è di chi serve (Il Postino) è la più grande frase che racconta l’importanza di quei milioni di libri mentre noi siamo uno soltanto (Le vie del signore sono infinite) che ci hanno insegnato ad amare la parola, la letteratura e così Troisi stesso.
A distanza di 26 anni la presenza di Troisi nel mondo dell’arte ancora trova imitatori, continuatori e scopiazzatori di ogni genere.
La lezione non è stata capita ancora da tutti, ancora c’è chi gioca con quei luoghi comuni che lui ha demolito ad uno ad uno.
Per questo, ancora oggi, è necessario, non solo continuare a ricordarlo, ma è importante impararlo, farlo proprio, insegnarlo e diffondere l’anarchia del suo cuore.